Certi italiani sono davvero pacifici, non c’è che dire: tengono la bandiera arcobaleno appesa alla finestra anche quando la guerra è finita da un pezzo. Oddìo, è pur vero che, ormai, «arcobaleno» si fa per dire: sbiadita dal sole, ritretta dalla pioggia, aggrovigliata dal vento, affumicata dallo smog, inquinata dalle polveri sottili e chiazzata dalle deiezioni dei colombi, solo con uno sforzo la memoria, che da settimane è passata ad altro, può richiamarne i fasti. 

Eppure, ma sì, c’è qualcosa di commovente in questi nostri compaesani che vogliono la pace a tutti i costi, senza se e senza ma, sempre e comunque, da qui all’eternità, tutti i giorni anche festivi. Qualche malizioso potrebbe insinuare che si tratta di pigrizia. 

O di avarizia, visto che quella bandiera è costata denari. I veramente maligni, poi, osano parlare di superficialità: sbollito l’entusiasmo per il gestopolitically correct che permetteva di sentirsi parte dei «buoni», gli espositori manco si ricordano più di aver qualcosa esposto sul davanzale. State pensando, lette queste poche righe, che io non ce l’abbia, la bandiera appesa? Invece, no, ce l’ho. 

Solo che non è mia. E’ del mio vicino, che sta sopra. Pende talmente dal suo balcone da svolazzare anche su un pezzo del mio, così che dal mio studio ne vedo le ultime due strisce. Nelle giornate limpide, quando non c’è vento, il sole ci passa attraverso colorando l’anima mia. Confesso che, all’inizio, nei primi giorni, quelli «caldi» pre-conflitto, c’era in me un po’ di disappunto. Ma come si fa a protestare contro la pace? 

E poi, ormai mi sono abituato. Il giorno che le togliessero, quelle bandiere, le facciate milanesi tornerebbero al loro grigiore postindustriale e terziario. Suggerimento: quando le toglieranno, mettiamole noi guerrafondai. Ma inchiodiamole bene e mettiamoci sopra del plexiglas infrangibile, perché con i pacifisti non si sa mai.