Fra le tante pubblicazioni che ricevo (e che di solito leggo attentamente) c’è anche «La Tradizione Cattolica», rivista ufficiale della Fraternità San Pio X italiana. 

Negli ultimi numeri vi è comparso un interessante saggio del filosofo Marcel De Corte, sui cui testi molta gente si è formata. Certo, so bene che non è granchè clerically correct cavare citazioni da ambienti lefevriani, ma se negli scritti di un reverendo anglicano (che è, a regola, ancor più scismatico) comparisse qualcosa degno di venir citato nessuno troverebbe da ridire. 

Perciò, cito e sottoscrivo le seguenti frasi di De Corte e invito i gentili lettori al facile esecizio di indovinare di chi sta parlando: «Si sono serviti degli umili, dei piccoli, dei diseredati, non per trarli dalla loro miseria (l’esperienza dimostra che questa è peggiorata) ma per far trionfare il loro arrogante concetto di uomo padrone del suo destino e dell’universo». 

Sì, perché quando si pretende un mondo perfetto qui ed ora, in pace senza se e senza ma, armonico-solidale-equo, senza frontiere e distinzioni, è proprio a quel concetto che ci si ispira. Continua De Corte: «Sull’amore evangelico del prossimo hanno edificato il più arrogante edificio di dominio intellettuale e spirituale che il mondo abbia mai conosciuto».

Con «un uso scientifico di parole-tabù, di ingiunzioni, di minacce». Grazie a questi metodi, «il prossimo, nel senso del dizionario, non ha più significato. E’ il lontano che bisogna amare».

De Corte, a sua volta, cita un papa, s. Pio X (ripeto, un papa: dunque, per definizione, qualcuno cui non si può dare, nemmeno per scherzo, dello “scismatico”), il quale così si esprime: «Per superbia, dimentichi di se stessi, pensano unicamente a riformare gli altri». 

Il filosofo e il papa, sebbene in tempi diversi, parlano della medesima categoria intellettuale di individui (e mi fa morire questo aforisma di De Corte: «Al di fuori della sua specializzazione, nessuno generalmente è più cretino di un “intellettuale”»). 

Il papa scriveva nel 1910, il filosofo nel 1964, ma le loro parole mi sembrano oggi più attuali di ieri. Allora, cari lettori, avete indovinato? Suvvia, è facile.