Riassumo il fatto, prima di commentarlo. E lo riassumo anche per insegnare un minimo di mestiere a tutti quei lettori che mi inviano loro commenti dimenticando che i fatti da loro commentati sono spesso a me sconosciuti. Non vuol essere prosopoea, la mia, cari lettori. Solo, un tentativo di risparmio di tempo futuro. Il fatto va riassunto subito, nelle prime righe (a meno che non si tratti di fatto talmente notorio da far risultare fastidiosa la sua ripetizione), per non costringere chi legge a scorrere (talvolta, ahimè, inutilmente) migliaia di parole per capire di cosa diavolo si stia parlando. 

Allora: in una frazione dell’hinterland milanese una persona, ancora ricercata mentre scrivo, ha sparato in piazza contro due rivali, provocando qualche morto ammazzato. Tra cui un paio di passanti (una dei quali era una bambina). Sono cinque giorni (oggi è il 25 agosto) che la stampa non parla d’altro. Si sono scatenati opinionisti, esperti, sociologi e intervistatori. Dalle cronache si è scoperto che tutti gli implicati avevano avuto a che fare con la giustizia, anche le vittime ignare (la madre della bimba uccisa, per esempio).

Ed è tornato a galla il problema del degrado umano delle periferie. Qualcuno, accanto ai fiori e ai bigliettini di commiato posti sul luogo del fatto di sangue, ha messo un curioso souvenir: uno spinello. Che la dice lunga sull’ambiente. Un magistrato, intervistato, ha puntato il dito sull’esiguità delle pene irrogate per quella che viene definita «microcriminalità», generalmente posta in essere da persone dedite a «delinquenza abituale»: le pene previste vanno, come tutte, da un minimo a un massimo; ma, di solito, si irroga la minima e a volte anche meno. 

Il suggerimento dell’intervistato era di cominciare subito dalla cima e applicare il massimo. Insomma, un giro di vite, di quelli che, in luoghi come gli Stati Uniti, giungono alla cosiddetta «tolleranza zero» e alla terza condanna, fosse anche il furto di un gelato, fanno scattare l’ergastolo. Le ricette proposte, comunque, sono tante: da «maggior severità» e «più polizia» a «affidiamo la cosa agli architetti» (cioè: abbattiamo i palazzoni dello squallore e facciamo ridenti casette immerse nei verde). Io, che non m’intendo di nulla di tutto ciò, mi limito ad osservare. 

E osservo che giusto alla vigilia dei fatti di Rozzano è stato approvato il cosiddetto «indultino» svuotacarceri, che rimetterà in circolazione parecchia di quella micocriminalità abituale di cui anche chi vi scrive, vivendo a Milano, è stato vittima (credo che non ci sia milanese che, almeno una volta, non abbia avuto problemi o almeno paura). Certe contraddizioni, per venire in evidenza, attendono qualche morto, qualche famiglia distrutta, qualche invalido. E distorsioni sociali, tipo il trasferimento verso lidi più sereni di migliaia di appartenenti al ceto medio (il più esposto e indifeso). Da cattolico pensoso mi interrogo sull’origine del perdonismo carcerario. 

Di solito, l’emotività dello spettatore viene titillata dai servizi televisivi sulla vita dietro le sbarre. E’ vero, è una vitaccia, e c’è anche qualche disgraziato che forse ne merita un po’ meno. Sono i cappellani delle carceri quelli che, vivendoci a contatto, provano la maggior pena emotiva. Devono averne riferito al papa, il quale, com’è noto, è andato ad esternarla in Parlamento. Era la prima volta nella storia che un governo italiano invitava un papa. 

E si trattava di governo filoamericano che sull’ordine pubblico aveva fondato una bella fetta delle sue promesse elettorali. Immagino il suo imbarazzo quando si è trovato di fronte sia alla richiesta di «perdono postgiubilare» che al «no!» veemente alla guerra “americana” contro l’Iraq. Quest’ultima non ha potuto evitarla. L’indulto, dopo aspri contrasti, è diventato «indultino».

Quella volta, ricordo, l’opposizione plaudì a mani spellate. Quando lo stesso papa ha ricordato ai deputati cattolici i loro doveri riguardo alle cosiddette «famiglie di fatto» si stracciò le vesti per «l’intollerabile ingerenza». Ma proprio la sparatoria di Rozzano mi fa domandare se per caso non avesse ragione il ministro di grazia e giustizia quando disse pressappoco: va bene, svuotiamo le galere, ma in capo a due settimane tutto sarà come prima. Anche peggio (dico io).