Chi mi legge su questi Antidoti o sulle pagine de «Il Timone» (ma specialmente su quest’ultimo) sa quanto la mia lingua batta dove il dente più duole. Dunque, non si stupirà affatto di vedermici tornare sopra. Ma la liturgia non è un affare solo mio, una mia personale ossessione. Fosse per me, ne farei a meno. E non si può. Pare che il Padreterno ci tenga proprio, a questa cosa della frequenza alla messa domenicale e festiva. Tanto da averla infilata ai primi posti dei Comandamenti («ricordati di santificare le feste»). Infatti, se solo ne salti una devi confessarlo sacramentalmente. 

E non è un peccato solo «veniale». Così, data la posta in gioco, ci vado. Ma ormai lo sanno tutti (i miei lettori) che non lo faccio volentieri. Perché mi annoio. Quando non mi innervosisco. I motivi li trovate sia nel mio libro intitolato Il Kattolico che negli archivi de «Il Timone», dove tengo fin dal primo numero la rubrica da cui il libro prende il nome. Riassumo brevissimamente per chi si fosse collegato solo adesso: trovo il rito sciatto, le omelie troppo lunghe e banali, la musica leggera fastidiosa e onnipervasiva. 

Come ben sa chi mi conosce e segue, non ho mai voluto mischiarmi in polemiche più o meno lefebvriste e tradizionaliste per il semplice motivo che il mio dissenso rispetto alla liturgia corrente non è dottrinale o teologico (non sono un esperto del settore -né ho tempo e voglia di diventarlo- e non ho gli strumenti per giudicare). Bensì estetico. 

Non mi piace. Ma, poiché si tratta di un gusto mio, non ho la pretesa di costruir teorie. Solo, amerei che l’avvento della festa venisse da me salutato con gioia: evviva, oggi c’è la messa. Anzichè così: oddìo, mi tocca andare a messa. Oggi pensavo alla lingua utilizzata, l’italiano anziché il latino. 

E a tutti quei ragazzini che canticchiano le loro canzoni preferite in inglese (lingua originale). Anch’io lo faccio. E sapete perché? Perché la traduzione italiana è incantabile: si perde la metrica, la poesia, la bellezza. 

A suo tempo il latino (lingua sacra del cattolicesimo, così come l’arabo lo è per l’islamismo) venne tolto di mezzo perché «il popolo capisse». Strana motivazione, in un tempo in cui il latino veniva ancora studiato nelle scuole medie. Ma tant’è: negli anni Sessanta era ancora molta la gente che non era andata neanche alle elementari. 

Tuttavia, dopo decenni di messa in italiano comprensibilissimo, c’è qualcuno che voglia spiegarmi cosa significa, per esempio, questo passaggio: «…Ti rendiamo grazie per la Tua gloria immensa…»? Confesso che io, che le scuole le ho fatte tutte (anche dall’altra parte della cattedra), non lo capisco. Né ho mai sentito qualche omelia spiegarlo. E, quand’anche qualcuno me lo spiegasse, resterebbe la domanda: perché, dopo aver reso «comprensibile» il rito, c’è ancora dentro della roba che richiede note esplicative a piè pagina?