A milioni si ritrovano sulle rive dei fiumi sacri indiani (di cui il Gange è solo il più importante) per bagnarsi ritualmente e «purificarsi».

Folle immense periodicamente fanno la gioia delle telecamere occidentali che ne cavano i soliti documentari o i trenta secondi nei tiggì dell’ora di pranzo. I trenta secondi diventano qualcuno di più quando ci scappa la strage (che, per gli occidentali, «fa notizia»). 

Come quella avvenuta il 27 agosto u.s. a Nashik, sulle rive del fiume Godavari che dista circa tre ore di autobus da Bombay. Quarantacinque morti e centotrenta feriti, causati, secondo alcune fonti, dall’eccessiva calca; secondo altre, dal parapiglia provocato dal lancio di oggetti devozionali da parte di alcuni sadhu (quei santoni induisti, nudi e culturalmente incrostati di fango, che non di rado esibiscono uncini sulla lingua trafitta e matasse informi di lunghissimi capelli aggrovigliati). 

Le condizioni igieniche di quelle acque (che vengono anche bevute) fanno inorridire gli occidentali ma non producono una piega nei devoti. I quali sono di certo informati su bacilli e batteri (l’India esporta ingegneri informatici, ha un’industria cinematografica che rivaleggia quanto a numeri con Hollywood ed è una potenza nucleare) ma temono più la spirale delle reincarnazioni che la morte per malattia: tengono più all’altra vita che a questa. 

L’altro grande pellegrinaggio orientale che «fa notizia» è quello musulmano alla Mecca. 

Anche qui, folle immani e, talvolta, la strage per eccesso di ressa. La mente corre, per un paragone, ai grandi pellegrinaggi cristiani. Quello a Lourdes, soprattutto, che per affluenza rivaleggia col Gange e La Mecca. Anche qui ci sono acque da bere e in cui bagnarsi. 

Ma il pellegrinaggio cristiano non è affatto obbligatorio: va chi vuole. Si va non tanto per assicurarsi la vita eterna quanto per ottenere qualcosa in questa, di solito la guarigione. 

L’affollamento non vi ha mai costituito un problema e molti non tornano nella bara ma, anzi, se così si può dire, più vivi di prima. Molte altre riflessioni potrebbero trarsi dal confronto, ma le lascio a voi lettori. 

Qui mi limito a meditare su tutti quei battezzati nel nome di Gesù che, stufi del loro credo, si sono rivolti verso religioni orientali (cui vanno aggiunti coloro che, sempre più numerosi, passano all’islamismo). 

Chissà, forse il «peso» di Cristo era per loro troppo «leggero», e il suo «giogo» insopportabilmente «soave».