L’arcivescovo di Kirkuk, Louis Sako, a Vienna su invito di ACS (Aiuto alla Chiesa che Soffre) l’1 aprile 2009 (fonte: Zenit), ha detto che la guerra in Iraq è costata la vita, negli ultimi cinque anni, a 750 cristiani, compreso l’arcivescovo di Mosul, Paulos Faraj Rahho. Sono 200mila i cristiani che hanno abbandonato un Paese in cui erano presenti da venti secoli. «I musulmani vivono come nel VII secolo, e questo è un problema», ha detto. Il che, in soldoni, significa che per loro le truppe americane sono «i cristiani» o i «crociati». Ora, Obama intende lasciare la piazza e concentrarsi –dice- sull’Afghanistan. Comprensibile: non ci sono più soldi e forse è meglio affrontare il problema alla fonte. Ma gli Usa si sono assunti il compito di polizia mondiale e sarebbe meglio se finissero il lavoro. Infatti, la Ue non intende prendersene la responsabilità, preferendo continuare a sputare nel piatto in cui mangia. Ci sono Paesi dotati di atomica, come il Pakistan (ma anche l’India), che non offrono molte garanzie in quanto a stabilità e civiltà (da XXI secolo, intendo). Abbandonare l’Iraq al VII secolo non è affatto un buon affare. Forse i Bush dovevano limitarsi a ridurre Saddam a più miti consigli e basta. Sia come sia, cosa fatta capo ha. Ma bisogna finire il lavoro. Altrimenti finisce come in Somalia, Libano e Bosnia. Classici esempi di lavori iniziati ma non completati.

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