«A quaranta stadi da Antiochia era situata Dafne», dove esisteva un famoso tempio di Apollo. Nei pressi del tempio sgorgava la fonte Castalia, sede di un oracolo altrettanto famoso. Gallo, fratello di Giuliano l’Apostata, prima di finire ucciso nel 354 aveva cercato di «controbilanciare l’affluenza dei pagani con quella dei cristiani; di fronte al tempio aveva fatto costruire una chiesa e vi aveva fatto trasportare le reliquie di san Babila, un vescovo di Antiochia martirizzato sotto Decio». Ma «a un certo punto gli idoli ammutolirono cessando di dare oracoli». Giuliano, giunto ad Antiochia per preparare la spedizione contro i persiani (in cui poi perse la vita), intendeva servirsi degli oracoli. «Consultando un esperto negromante, gli fu risposto che la ragione del silenzio consisteva nel fatto che il luogo era contaminato» e che «la contaminazione era prodotta specialmente dalle reliquie di san Babila. Immediatamente Giuliano dette ordine di rimuovere le reliquie». I cristiani accompagnarono in massa il carro con le reliquie levando inni, ma Giuliano «arrestò molti cristiani e ne rinchiuse altri in carcere». Il 22 ottobre di quell’anno 362, «nel colmo delle notte il tempio di Apollo prese fuoco e fu totalmente distrutto (…). Per scoprire i colpevoli Giuliano sottopose alla fustigazione i custodi del tempio e alla tortura il sacerdote d’Apollo, ma non ricavò alcuna indicazione». Il fatto era che «l’incendio si era propagato dall’alto in basso, e quindi era fuoco calato dal cielo: contadini delle vicinanze attestavano di aver visto cadere un fulmine». Malgrado ciò, Giuliano ordinò contro i cristiani «rappresaglie lontane e vicine». Cfr. Giuseppe Ricciotti, Giuliano l’Apostata (Mondadori, 1956, pp. 265 ss.).