Guerra alla droga persa», rapporto shock dell’ONU

Danilo Quinto
03-06-2011

“La Guerra alle droghe ha fallito, con conseguenze devastanti per gli individui e le società del mondo. Cinquant’anni dopo la Convenzione sulle droghe, promossa dalle Nazioni Unite e quarant’anni dopo il lancio, da parte del Presidente degli Stati Uniti Nixon della guerra alla droga, sono necessarie ed urgenti fondamentali riforme nei Paesi e a livello globale in termini di controllo di polizia sulle droghe”.

Negli anni Settanta, avrebbe potuto essere più o meno questo l’inizio di quegli opuscoli e libretti di propaganda antiproibizionista diffusi dalle organizzazioni libertarie e radicali, impegnate nella liberalizzazione dell’uso delle sostanze stupefacenti.

Oggi, queste sono le prime parole del rapporto diffuso ieri dal “Global Commission on Drug Policy”, redatto a cura delle Nazioni Unite. Una resa senza condizioni, culturale soprattutto, che avrà conseguenze gravissime. La droga non è più un male in sé, ma soltanto un fenomeno che interessa soltanto per gli effetti sanitari più gravi e per gli arricchimenti delle organizzazioni criminali.

Il documento – che s’intitola “War on drugs”, con la parola “war” che si legge sotto una cancellatura stilizzata – è firmato da personaggi molto prestigiosi. Tra gli altri: scrittori famosi (Carlos Fuentes e il Premio Nobel Mario Vargas Llosa); ex Capi di Stato (César Gaviria, Colombia, Ernesto Zedillo, Messico, Fernando Henrique Cardoso, Brasile, Ruth Dreifuss, Svizzera); l’ex Primo Ministro della Grecia, George Papandreou; l’ex Segretario di Stato Usa, George P. Shultz; l’ex Commissario dell’Unione Europea, Javier Solana; Paul Volcker, ex presidente della United States Federal Reserve; John Whitehead, banchiere e presidente della World Trade Center Memorial Foundation, United States. C’è, soprattutto, Kofi Annan, già Segretario Generale delle Nazioni Unite, tra i maggiori responsabili delle politiche anti-droga degli ultimi vent’anni a livello internazionale.

I grandi del mondo della politica, della cultura e dell’economia mondiale dicono che “le politiche di criminalizzazione e le misure repressive – rivolte ai produttori, ai trafficanti e ai consumatori – hanno chiaramente fallito nello sradicare la droga” e che “le apparenti vittorie nell’eliminazione di una fonte di traffico organizzato sono annullate quasi istantaneamente dall’emergenza di altre fonti e trafficanti”.

Queste affermazioni sono supportate dalle statistiche che il rapporto propone. Nel 1998, il consumo di oppiacei riguardava 12.9 milioni di persone; nel 2008 17.35 milioni, con un incremento del 34.5%. Nel 1998, il consumo di cocaina riguardava 13.4 milioni di individui; dieci anni dopo, 17 milioni, il 27% in più. Nel 1998, la cannabis era consumata da 147.4 milioni di persone; dieci anni dopo, da 160 milioni, l’8.5 per cento in più.

Nel rapporto, la droga è considerata una questione sanitaria. Si legge, infatti: “Le politiche repressive rivolte al consumatore impediscono misure di sanità pubblica per ridurre l’Hiv, le vittime dell’overdose e altre pericolose conseguenze dell’uso della droga”.

Le spese dei governi nell’azione di contrasto sono definite “futili strategie di riduzione dei consumi, che distraggono da investimenti più efficaci e più efficienti”. I Governi vengono invitati a sperimentare “forme di regolarizzazione che minino il potere delle organizzazione criminali e salvaguardino la salute e la sicurezza dei cittadini”. Coltivatori, corrieri e piccoli rivenditori di sostanze stupefacenti sono – per gli estensori del rapporto – “spesso vittime loro stessi della violenza e dell’intimidazione – oppure essi stessi tossicodipendenti”.

Attraverso l’esame di una serie di casi definiti “critici” – Inghilterra, Usa, Svizzera e Paesi Bassi – il rapporto indica alcuni principi guida. Il primo riguarda le politiche antidroga. “Devono essere improntate – si legge – a criteri scientificamente dimostrati”, devono avere come obiettivo “la riduzione del danno” e devono essere “basate sul rispetto dei diritti umani”, mettendo fine alla “marginalizzazione della gente che usa droghe” o è coinvolta nei livelli più bassi della “coltivazione, produzione e distribuzione”. Per gli estensori del rapporto – convinti, bontà loro, che le politiche antidroga devono coinvolgere tutti, dalla famiglia alla scuola – la lotta alla droga va portata avanti a livello internazionale, ma “prendendo in considerazione le diverse realtà politiche, sociali e culturali”.
Tra le raccomandazioni, la principale è quella di “sostituire la criminalizzazione e la punizione della gente che usa droga con l’offerta di trattamento sanitario, incoraggiando la sperimentazione di modelli di legalizzazione, a partire dalla cannabis”. E’ già stata promossa una raccolta di firme ed una mobilitazione internazionale su questi principi, per “aprire in tutto il mondo il dibattito, rinunciando a tabù ed operando con mentalità aperta e pragmatica”.