Il musicologo e professore Aurelio Porfiri ogni tanto scrive per l’agenzia Zenit sulla musica liturgica. Il 14 luglio 2011 ha risposto ad alcune obiezioni classiche. La prima: bisogna valorizzare la musica dei giovani. «Il culto del giovanilismo era in auge durante il fascismo, tramite il futurismo» e «in pratica non stiamo difendendo la cultura dei giovani (cosa è poi?) ma la cultura imposta dalle major discografiche». La gioia? Quelli che passano sono «canti semplicemente inneggianti ad una gioia che in questo caso non è spirituale, ma spiritata, quasi proveniente da una esaltazione che non procede da processo spirituale (…). Certo tutti vogliamo la felicità, ma essa è una speranza non una falsa realtà». Porfiri sottolinea poi «l’errore di chi pensa che la musica che si sente fuori deve essere poi trasportata nella liturgia magari cambiando semplicemente il testo». Altra obiezione: non bisogna mortificare la buona volontà di chi suona. Porfiri: «Se io vado da un dentista e devo scegliere fra il suo buon cuore e la sua bravura professionale, io sceglierei la seconda». Ulteriore obiezione: le cose in religione vanno fatte con spirito di gratuità. Invece, «è un dovere che il popolo cristiano supporti coloro che offrono un servizio professionalmente qualificato, così come si pagano i fiori o coloro che forniscono il sistema audio e via dicendo. Il sacrestano viene pagato, perché non l’organista o il cantore?».