TAMARO

Credo che la cifra di comprensione dell’ultima fatica di Susanna Tamaro stia tutta in questa citazione: «Più l’esistenza quotidiana si faceva disarmonica, più io mi buttavo tra le braccia della mineralogia, della malacologia, dell’entomologia. E più le loro braccia mi accoglievano, più mi rendevo conto che dovevo invertire l’ordine delle domande. Non più: Chi comanda il mondo? Ma piuttosto: Da dove vengono la fisica, la chimica, la matematica? Da dove scaturiscono le leggi che permettono alle cose di esistere nella loro concreta stabilità? Stavano lì da qualche parte sospese nell’oscurità delle tenebre, in attesa che qualcuno si decidesse a usarle, o erano nate per caso?». La risposta è nella seconda metà della citazione: «La mia personale esperienza di persona alquanto disordinata mi suggeriva però il fatto che dalla casualità difficilmente poteva sorgere l’ordine. E allora? Dal caso potevano nascere forme perfette come la struttura elicoidale di una conchiglia?». Ed ecco la conclusione, dettata dalla forza dell’evidenza: «E quella struttura così sorprendente non conteneva forse in sé anche un altro principio, quello della bellezza? E la bellezza cos’altro era se non il soprassalto dello stupore? A un tratto c’è qualcosa che non mi aspetto e questo qualcosa colpisce direttamente il mio cuore. Ancora non lo sapevo, ma fin dal principio sono stata un’anima assetata di bellezza. E non sapevo neanche che la bellezza porta con sé, come discreta ancella, la sete di verità». Susanna Tamaro, triestina, è autrice di una ventina di libri ma il suo successo più travolgente è Va’ dove ti porta il cuore, venduto in milioni di copie (oltre al film che ne è stato tratto e le traduzioni all’estero). La sua produzione, dopo essere stata in catalogo per vari editori, è recentemente approdata alla Bompiani, che ha mandato in libreria la sua ultima fatica: Ogni angelo è tremendo. Si tratta di un’autobiografia in cui l’autrice racconta la sua infanzia difficile e gli eventi dolorosi che l’hanno segnata. Parla di una bambina troppo sensibile e una famiglia divisa. Parla di un’infanzia in zone che hanno attraversato la grande storia e in cui la grande storia lasciato ricordi amari. Zone che hanno conosciuto, eccome, ambedue le guerre mondiali ma amano parlare solo della prima, perché i segni della seconda non si sono ancora rimarginati (e chissà se lo saranno mai). Parla anche del suo background familiare, mezzo ebreo e mezzo mitteleuropeo, mezzo italiano e mezzo austriaco. E poi degli anni «formidabili» a Roma, a studiare regia cinematografica e televisiva in un ambiente che aveva, allora, Marx o Trotzky come orizzonte unico e fisso. Infine, dopo un curriculum di studi piuttosto arzigogolato ma segnato, tutto sommato dall’insoddisfazione, ecco l’approdo che potremmo dire “genetico” (Italo Svevo, celebre e celebrato scrittore triestino, era il padre di una sua prozia) alla letteratura e il successo. Il racconto narra di una vita complicata, di certo parecchio singolare, epperò segnata da quella assillante, talvolta disperata, ricerca del buono, del bello e del vero. Ciò per cui tutti, in fondo, siamo stati creati. Ma che un’abile scrittrice sa affidare alla parola scritta e farsi leggere quasi con avidità, “volendo vedere come va a finire” anche se già lo si sa.