Libri

Fregati dalla scuola

I manuali di storia della scuola dell’obbligo sono, per comodità, divisi in capitoli. Solo che questi non si limitano ad essere numerati, bensì recano dei titoli. E questi titoli, contrariamente a quel che si pensa, non si limitano a descrivere il contenuto del capitolo ma danno anche un giudizio di valore. Esempio: “Medioevo”, “Rinascimento”, “Risorgimento”, “Resistenza”. Analizziamo i termini. “Medioevo” significa, come tutti sanno, “età di mezzo”, laddove “Rinascimento” sta per “nuova nascita”. Se si rinasce vuol dire che prima si era morti, ma anche che prima di essere morti si era già nati una volta, per cui adesso si “rinasce”.

Dunque il Medioevo, epoca precedente al Rinascimento, era il tempo in cui l’umanità era stata morta. Quanto dura il Rinascimento? Pochi decenni, verso la fine del Quattrocento. Poi? Si ha l’Età Moderna, e tutti tiriamo un respiro di sollievo. Anche se, a ben vedere, le guerre e le catastrofi sembrano moltiplicarsi a ritmi parossistici: guerre tra Francia e Inghilterra, tra Francia e Spagna, tra cattolici e protestanti, tra lanzichenecchi e tutti gli altri, guerre di successione, di devoluzione, delle due dame, dei tre imperatori, dei quattro papi e dei cinque eserciti.

La Riforma: finalmente Lutero spezza le catene del dogma e della Chiesa. Controriforma: l’Italia ricade nell’oscurantismo. Solo a ben guardare si scopre che le guerre di religione stavano tutte nei paesi protestanti, mentre in Italia si stava tranquilli. Il Medioevo, i “secoli bui”. Quanto è durato? Dalla caduta dell’Impero Romano fino alla scoperta dell’America. Così dice il Manuale. Dunque mille anni e qualcosina. Mille anni! Sbrigativamente catalogati come “età di mezzo”. Cribbio, che lunga morte! Ma “in mezzo” a cosa?

All’Età Classica e al Rinascimento. Vuol dire che si era vivi ai bei tempi di Atene e Roma, poi si morì per mille anni e si rinacque infine alle soglie del Cinquecento. Infatti nel Rinascimento riappaiono, nell’arte, i trionfi di Bacco ed Arianna, Ercole, Apollo e Minerva. Cioè il paganesimo antico. Ecco la “rinascita”. Tra un paganesimo (quello antico) e l’altro (quello rinascimentale) c’era un periodo di mille anni che quelli che ci abitavano chiamavano “Cristianità“. Ergo: durante i secoli cristiani eravamo morti, mentre si era ben vivi nei tempi pagani. Letta così la storia dell’Europa sembra un continuo tentativo di scrollarsi di dosso il Cristianesimo. E lo è. Solo che tutto ciò nei manuali di storia è dato come positivo. Il motivo si capirà leggendo questa Guida. Ma fin da subito possiamo anticipare che furono i liberali nel secolo scorso a impostare lo studio della storia in questo modo, cioè in senso ideologico.

I nostri Padri della Patria statalizzarono la scuola, la resero obbligatoria ed uguale per tutti e cominciarono a mettere in galera quelli che non ci mandavano i figli. Cavour & Soci imposero uno studio della storia di tipo manicheo, cioè con i buoni da una parte e i cattivi dall’altra, in cui i buoni erano loro. Il Fascismo tentò una rivalutazione e una rilettura del Risorgimento appropriandosi dei suoi miti più importanti e la Repubblica lasciò le cose come stavano, limitandosi ad aggiungere il capitolo sulla Resistenza. Infine il Sessantotto ha virato il tutto in senso marxista.

Et voilà, tutti siamo riciclati nella convinzione che: Garibaldi e Napoleone erano i buoni, così come i Nordisti negli Usa, mentre i Borboni erano cattivi perché non volevano cedere volontariamente il Sud ai Piemontesi. E pure il Papa, che “per il suo bene” avrebbe fatto meglio a regalare Roma a Vittorio Emanuele II. Ancora: i Sudisti americani erano cattivi perché volevano tenere in schiavitù i negri e i Nordisti divennero cattivi quando sterminarono gli indiani. Che erano buoni e saggi. Qualcuno, da adulto, per avventura scopre che forse la verità è diversa. Tutti gli altri, quelli che si occuperanno di banca o di artigianato o di commercio, continueranno a credere quel che la scuola ha loro insegnato. Spesso anche gli insegnanti di storia rimarranno in tale stato.

Infatti all’università si sono occupati solo di approfondire quel che avevano assorbito da piccoli. E come l’hanno imparata la ripetono. Non solo. Poiché sono laureati non ammetteranno mai che hanno passato la vita a studiare cose in fondo opinabili, né accetteranno di ricominciare a studiare da zero per rimettere in discussione quel che hanno imparato. Spesso, dunque, si trasformeranno nei più feroci difensori di quelle quattro cose che credono di sapere. E il sistema andrà avanti da solo, in una spirale perversa che mantiene tutti nell’idea che questo sia il migliore dei mondi possibili e che le soluzioni per migliorarlo debbano essere cercate all’interno del “progresso”, che è partito dalle oscurità medievali per approdare al radioso presente.

Questa Guida non è un contromanuale, non ci troverete né date né fatti; solo una diversa interpretazione. Lo studente che ne farà uso non troverà tanto una controverità quanto la possibilità di scegliere, dopo aver sentito -adesso- tutte le campane, con qual musica vuol ballare. Lo spirito critico, infatti, si acquista solo dopo aver avuto la possibilità di vedere le cose da tutti i lati. Se potessi tornare ai miei anni di liceo vorrei che alla storia venisse consacrata un’intera giornata settimanale: alla prima ora un insegnante marxista, alla seconda uno liberale, alla terza uno cattolico, e così via.

Tutti dovrebbero trattare lo stesso argomento, ognuno dal suo punto di vista. Al pomeriggio (o la settimana successiva) il dibattito con gli allievi. La classe avrebbe una possibilità concreta di diventare veramente pluralista, nel senso che ogni studente aderirebbe alla concezione che più lo convince. O a nessuna, se vuole. Più democratici di così… Ebbene così funzionavano le lezioni nel tanto vituperato Medioevo, epoca talmente “buia” da far concepire a san Tommaso d’Aquino la sua Summa Teologica perché i suoi studenti non avevano un manuale di teologia. Si tratta di un’opera che oggi comporta ben trentatré volumoni, per di più comprensibili solo ai filosofi più dotti. Ed era un semplice manuale per studenti. Studenti che, come si è detto, potevano intervenire, mettere in discussione e dibattere col loro docente. Ah, il “buio” Medioevo! Ragazzi, buon divertimento.

Fra Riccardo Pampuri, santo e medico condotto

Questo santo, morto poco più che trentenne, era medico ginecologo, e ancora oggi è artefice di numerosi miracoli a tema. Lasciò la sua condotta e si fece religioso nei Fatebenefratelli di Milano. 

Morì per una malattia contratta al fonte della Grande Guerra, nella quale si era reso protagonista di un eroico episodio dopo la ritirata di Caporetto (ebbe una medaglia per questo). 

In questa biografia parecchio spazio è dedicato proprio al clima di quegli anni, in cui i cattolici erano emarginati sia perché la Questione Romana era ancora in atto (la Conciliazione con lo Stato italiano avverrà solo nel 1929), sia perché il papa era stato contrario a quella guerra. 

Però i cattolici fecero il loro dovere (anche preti e frati, giacchè il Concordato che li avrebbe esentati dal servizio militare era di là da venire). Anzi, proprio questo santo dimostra che lo fecero anche meglio degli altri: dopo Caporetto, mentre tutti scappavano, lui rimase al suo posto. Prefazione di don Luigi Giussani.

Il grande libro dei santi protettori

A CIASCUNO IL SUO SANTO
di Alberto Bevilacqua

CAMMILLERI CI HA DIMOSTRATO CHE, ANCHE QUANDO SIAMO NEI GUAI PIU’ NERI, C’E’ SEMPRE QUALCUNO A CUI RIVOLGERSI

Badare bene: ci apprestiamo a parlare di Rino Cammilleri, non dell’altro,quasi omonimo creatore del personaggio di Montalbano. Una “quasiomonimia” che il nostro autore sconterà senza alcun dubbio. Succede. Lui stesso, in una delle tante biografie divertenti di cui è intessuto il suo volume, ci insinua che il Santo Giuda Taddeo non fu proprio lasciato in pace da quel controverso protagonista della grande scena cristiana, che si chiamava Giuda, tour court. Insomma, il bel como – è il caso di dirlo, perchè il volutone è come uno di quei tizi ironici e stravaganti – mi ha divertito.

E grazie a Dio (di nuovo, è il caso di dirlo, in quanto si tratta sia di Santi Protettori, sia di una delle rare eccezioni alla noia che dilaga nei libri di recente uscita), Cammilleri, con la sua ricerca da orafo certosino, ci ha dimostrato che, anche quando siamo nei guai più neri, c’è’ sempre qualcuno a cui possiamo rivolgerci. Sono rimasto sbalordito. Lo sapevate che esiste un Patrono che può proteggerci difenderci qualsiasi mestiere facciamo e,soprattutto, da ogni malessere che possiamo avere?

Scelgo a caso nell’esilarante fantasmagoria: Sant’Adriano di Nicomedia ha le seguenti competenze: “Meningite, militari, morte improvvisa, agenti di custodia, armi (fabbricanti di), carnefici e boia, fabbri, addetti alle poste,schermitori, guardie”. Il grottesco di Cammilleri fa centro perché, basandosi su rigorose basi storiche, ci propone, con un candore (un po’ diabolico in verità, ma in senso buono) degli eletti dal Signore i quali devono farsi in quattro per tutelare figure e situazioni umane, collegate fra di loro dai più bislacchi rapporti. Ionesco, credetemi, avrebbe esultato. Questo non è un catalogo, bensì un teatro dell’assurdo in forma nuova!

E pensate un po’ in che guai può trovarsi il povero Sant’Adriano di Nicomedia dovendo proteggere, a parte i boia, i fabbricanti d’armi magari condannati a mesi in galera, ossia guardati a vista dagli agenti di custodia. Nemmeno Gandhi sarebbe riuscito in simili acrobazie per conciliare gli opposti. E la specializzazione multipla di San Cristoforo di Licia prevede:”Ascensoristi, aeronauti, aclati, autisti, scaricatori”, tralasciando il resto. Ah, i miracoli: San Cristoforo di Licia venne martirizzato sotto Decio verso il 250, e fu uno dei più venerati del Medioevo. E certo, allora, non esistevano ascensori, aerei, automobili.

Da Cammilleri, apprendiamo come il Paradiso attribuisca incarichi ecompetenze, senza tener conto dei salti temporali, e con una fantasia che smentisce ogni logica umana. Amabilmente va sottolineato, al di là del paradosso, che il nostro autore rivela anche una sapienza narrativa nel delineare l’avventurosa vita dei suoi tanti protagonisti. Il lettore non si lasci fuorviare dall’apparente bonomia dei siparietti narrativi. Essi, sotto la superficie, spesso sprizzano sottili veleni contro le barbarie e le assurdità della Storia. E lo scopo, forse inconsapevole, dell’operazione è proprio questo: dimostrare che i potenti della terra, fossero pro o contro il simbolo della croce, molto debbono alla saggezza popolare di quanti, nella loro povera ma dignitosa vita, non avevano che la consolazine di alzare gli occhi al cielo, con anima sincera e sincero dolore. Queste pagine mi hannoricordato gli affreschi paradisiaci del Correggio (quanta religiosa ironia in quelle figure volanti).

Guglielmo Giuseppe Chaminade, un prete tra due rivoluzioni

Il fondatore della Società di Maria, i cosiddetti «padri marianisti», era un semplice sacerdote che riuscì a sopravvivere a ben due rivoluzioni francesi: quella del 1789 e quella, definitiva, del 1830. Essendosi rifiutato di prestare il «giuramento costituzionale» scismatico ai giacobini, fu costretto a nascondersi e ad affrontare mille peripezie per poter svolgere, travestito, il suo ministero. 

Si rese conto che un’epoca si era chiusa e che bisognava rimboccarsi le maniche per ricominciare su basi nuove. Per questo, accantonando i sogni di impossibili restaurazioni del Trono e dell’Altare, si dedicò alle nuove generazioni uscite dalla bufera rivoluzionaria e napoleonica. 

La sua creatura era un corpo di laici e preti che si concentravano sull’educazione, aprendo scuole con criteri pedagogici all’avanguardia. Paradossalmente, le maggiori difficoltà vennero con la Restaurazione. Infatti, la rivoluzione aveva letteralmente eliminato una classe dirigente; fu così che a comandare si ritrovarono gli stessi, riciclatisi con altro nome. Una lezione anche per l’oggi.

Vita di padre Pio

Quando, più di dieci anni fa, l’editore mi chiese un libro su Padre Pio, mi accorsi con sgomento che sul cappuccino c’erano già centinaia di titoli e migliaia di articoli. Lessi tutto quel che che riuscii a trovare e schedai centinaia di opere. Mi avvidi che l’unica cosa che mancava, nel panorama, era un compendio, una «vita» di Padre Pio completa e, soprattutto, senza peli sulla lingua. Già, perché molte delle opere, scitte da religiosi o da devoti, erano restie su quel che riguardava certi aspetti incresciosi degli impeachment che quel vecchio frate aveva subito da parte del Vaticano (e non solo). Così, stesi una biografia in cui c’era tutto-ma-proprio-tutto, sufficientemente compact perché non risultasse barbosa e inutilmente infiorettata. Ne è uscito l’unico miracolo personale che fino ad oggi Padre Pio mi abbia fatto: quattordici o quindici edizioni, credo, per un libro che continua a vendere perché sempre attuale.

L’Inquisitore

Pisa, XIII secolo. L’inquisitore Corrado da Tours viene inviato segretamente dal papa in quella città ghibellina per risolvere un misterioso omicidio rituale. C’entra un fantomatico «papa cataro»? O un saraceno ambiguo? O il mago di corte di Federico II, Michele Scoto? In questo romanzo, che fu scritto nel 1987 per dare una risposta kattolica a Il nome della rosa, molto prima di Dan Brown si utilizza la leggenda di Maria Maddalena e dei Merovingi. Cos’è il Graal? Chi ha ucciso la più bella donna di Pisa? Cosa c’entra il conte Ugolino?  Un’avventura mozzafiato e storicamente documentatissima che è stata tradotta in quattro lingue ed ha avuto finora quattro diverse edizioni italiane. Sono in corso trattative per farne un film.

I mostri della ragione

INVITO ALLA LETTURA
di Vittorio Messori

Il titolo di questo libro è un evidente rovesciamento della frase (troppoacriticamente ripetuta) che sta sotto la celebre incisione di Goya: “Il sonno della ragione genera mostri”. Come le pagine che seguono confermano ad abundantiam, può essere vero il contrario. Così, del resto, la storia ha sempre mostrato: sono certe “veglie” della Ragione (soprattutto quando è pensata e scritta con la maiuscola) a partori remostri.

E spesso terribili per inesausta sete di sangue. L’insofferenza per il mondo com’è, il sogno di come potrebbe essere perfetto se organizzato “secondo ragione”, accompagnano da sempre gli uomini. Anche l’antichità classica si cimentò in celebri opere “utopistiche”: ma a differenza di quanto sarebbe poi successo nei secoli “moderni” nessuno pensò di tradurre, o di lasciar tradurre in pratica quei progetti, considerati come pure astrazioni, come una sorta di elegante quanto innocua ginnastica mentale.

Neppure il cristianesimo “autentico” si prefisse di costruire qui e ora – “ilmondo perfetto”: cuore della speranza cristiana è sì l’attesa di “terre nuove e cieli nuovi”, ma proiettati alla fine della storia. Secondo la sapiente legge (che è soprattutto segreto “cattolico”) dell’et-et, il cristianesimo, alla spinta ideale, alla proposta del meglio, affiancò sempre il realismo, con la sua comprensione e l’accettazione presente dell’uomo concreto. Fare del mondo un monastero dove tutti praticassero tutte le virtù equivarrebbe a trasformarlo in un’immensa prigione, dove ciò che si potrebbe ottenere sarebbe al massimo il trionfo dell’ipocrisia.

Questo, per fortuna, ha sempre creduto la Chiesa cattolica, che pure ha generato dal suo seno (a ogni generazione, e con una costanza straordinaria) degli “istituti di perfezione”: ordini, congregazioni, compagnie, dove uomini e donne vivono “l’utopia”, tentano di anticipare nel mondo ciò che sarà finalmente norma quando il mondo medesimo e la sua storia saranno consumati… Ma non a caso si è sempre parlato di “vocazione”: occorre essere vocati, è indispensabile una “chiamata” divina, misteriosa e individuale, per mettersi su questa via tanto impervia e rischiosa da essere circondata da mille cautele codificate.

Vaglio minuzioso delle “regole”, approvazioni adex perimentum, sorveglianza continua, esortazioni a moltiplicare l’impegno spirituale e ascetico sino all’eroismo: tutto questo per non ricadere nella condizione dell'”uomo naturale” sempre in agguato. Non a caso la storia di questi istituti è storia di continue riforme per tornare all’ideale. Prima dell’inquinamento da ideologie post-cristiane (soprattutto nella versione della vulgata marxista), almeno nella sua versione cattolica il cristianesimo ha sempre avuto ben chiaro che ci è stato promesso un solo paradiso: e non per questa terra. Per dirla con Cammilleri, “la Chiesa ha sempre predicato all’uomo come dovrebbe essere, ma cominciando con l’accettarlo come è”.

Così che, come è stato osservato, la sapienza evangelica e insieme umanissima che presiedeva, nei seminari, alla formazione degli uomini di pastorale, dei sacerdoti “in cura d’anime”, raccomandava di essere araldi diutopia e di intransigenza sul pulpito e al contempo misericordiosi ecomprensivi nel confessionale, confrontandosi con la debolezza dellacreatura concreta. Quanto agli uomini organizzati in società, è significativo che la Chiesa non si sia mai espressa con dichiarazioni autoritative, sacralizzando un modo di governo, una struttura politica rispetto ad altre: possono esserci state, negli uomini di Chiesa, delle preferenze, determinate da condizioni storiche; ma nessuna presa di posizione de fide.

Un affidarsi “cattolico”, anche qui, al pragmatismo realistico che ben sapeva, assai prima di Machiavelli, che non esiste – nella cosa pubblica -“piano”, per quanto attraente e studiato, che, applicato a un problema, non crei necessariamente altri problemi. Il solo modo davvero cristiano per rispondere al dovere di cercare di rendere il più ordinata e umana, il meno ingiusta possibile, la convivenza sociale è il puntare non sull’esterno, ma sull’interno dell’uomo: tentare di renderli davvero cristiani – uno a uno – e,dunque, aperti all’amore, alla solidarietà, alle virtù anche di buon cittadino. Con la fuoriuscita, spesso polemica, dalla tradizione cristiana – a partire dal XVIII secolo – prima dell’intellighenzia occidentale e poi via via di settori sociali sempre crescenti, alla prospettiva di fede, con la sua concretezza attenta “all’uomo quale davvero è”, si sostituisce l’astrattezza della ideologia.

“L’uomo quale dovrebbe essere”. Nel chiuso dei loro cabinets de travail o nello scintillio mondano dei salotti, si muovono i primi rappresentanti di una nuova, temibile categoria: quella degli “intellettuali”. Coloro, dunque, che, immemori della complessità umana, non usano che di una sola facoltà: “l’intelletto”, la “ragione”, e questa tendono a sostituire alla fede, sino al punto di attribuirle attributi divini e ad adorarla sotto le navate delle cattedrali dalle quali è stata finalmente cacciata la superstizione oscurantista di una “rivelazione” irrazionale e irragionevole. Assurda e dannosa a cominciare dalla radice stessa di quell’oscurantismo: la credenza nel peccato; e in quello “originale” in particolare.

Se l’uomo è spesso infelice, se la società è disorganizzata e ingiusta, seliberté-egalité-fraternité non presiedono ai rapporti tra le persone, non è certo per qualche risibile causa teologica: è mancato un “piano steso secondo ragione”; non si è permesso ai “filosofi” di legiferare, non si è affidato il governo agli “esperti”, agli “intellettuali”, ai “migliori”; a coloro, insomma, che in tutto sanno di doversi adeguare alle categorie razionali. E a quelle soltanto, senza sciocchi rispetti per tradizioni, costumi, credenze, “superate” dai lumi.

Purtroppo, quel XVIII secolo si chiuse con un avvenimento che la Provvidenza aveva sino ad allora risparmiato all’umanità: a discorsi, libri, sogni, piani – restati sino a quel momento le divagazioni teoriche che dicevamo, sin dall’antichità – fu data la possibilità di farsi storia concreta. Inquel fatale 1789, tra Versailles e Parigi, gli “amici dell’umanità“, i tedofori della ragione per la prima volta poterono mettere in pratica i loro begli schemi. Cominciò così il martirologio della modernità.

Da allora sino a oggi, il bilancio di quelle ideologie venute a sostituire”l’irrazionalismo religioso” è drammaticamente monotono: sempre, senzaalcuna eccezione, i paradisi in terra promessi dal “piano” pensato a tavolino si sono trasformati in ben concreti inferni nella pratica. Sempre, in nome della “fraternità“, si è giunti al Terrore, non di rado al genocidio. E per un meccanismo tanto semplice quanto implacabile: l’utopia da intellettuale, così impeccabile e attraente sulla carta, applicata – con le buone, ma spesso con le cattive – alla carne viva dell’umanità mostra subito la sua astrattezza, la sua incapacità di far posto alla complessità del reale. Ma se la teoria non funziona nei fatti, gli “ideologi” non ne deducono l’inadeguatezza, ma ne traggono un minaccioso: “Ebbene, tanto peggio per i fatti!”.

Così l’utopia perde subito i suoi aspetti “umanistici” e mansueti,radicalizzandosi e divenendo oppressiva: “Sii mio fratello o muori!”. Le prigioni cominciano ad aprirsi per gli “asociali”, cioè per coloro che non ce la fanno, come tutti , ma osano dirlo, ad adeguarsi a un modello così teorico e, dunque, disumano, di società. Ma poiché nessuna repressione basta, e tutto il meccanismo si inceppa sempre più – a cominciare, di solito, dal lato economico, ma anche da quello etico, morale: che è carissimo tra tutti al cuore di ogni utopista – ecco sorgere l’ossessione del complotto: la teoria è perfetta; volente o nolente (a parte le frange “asociali”, già castigate come meritano) la gente cerca di praticarla, anche perché la polizia vigila. Se le cose non funzionano, se anzi peggiorano sempre più, la colpa è delle “quinte colonne”, è dei sabotatori interni, è dei nemici esterni, è delle oscure forze della reazione, è del mondo che muore che non si rassegna al nuovo.

Da qui purghe, epurazioni, lager e gulag = il Terrore. E’ la parabola tragica che ha accompagnato la modernità e che è costata così spesso sangue; sempre, delusioni cocenti, sperpero di energie e di intelligenze, rovesciamento delle attese (per limitarci all’ultima, impressionante, ubriacatura da utopie e da “piani per un mondo diverso” – quella del Sessantotto – si è forse dimenticato che i mitici “giovani” di allora sono diventati, vent’anni dopo, la generazione dei quarantenni più sfacciatamente “edonisti”, forse i meno “sociali” del secolo, i “rampanti” degli anni Ottanta e del boom economico dell’era reaganiana?).

La facciamo corta, anche perché non vorremmo togliere al lettore che si fosse ingolfato nella lettura di queste nostre righe introduttive la possibilità di cominciare subito la lettura delle pagine di Rino Cammilleri. Ancorgiovane, singolare figura di convertito a un cattolicesimo militante e “tosto”, che non teme di ricordare agli interlocutori le ragioni della sua fede, alla cui luce giudica l’uomo e la storia (cosa che, chissà perché, è tenuta per intollerabilmente “apologetica”, “poco dialogica ed ecumenica” da non pochi “intellettuali” clericali di oggi), già noto per altre opere non allineate alla vulgata anche cattolica attuale (I santi militari, per esempio) Cammilleri ci sembra avere fatto qui opera assai utile e al contempo leggibile.

Difficile annoiarsi su pagine come quelle che seguono, gremite di personaggi singolari e inquietanti, di “affondo” in teorie, schemi, utopie curiose eimpensabili; su pagine che non temono la riflessione “morale”, in unaprospettiva sanamente e limpidamente cattolica che non dimentica an che la benedetta virtù dello humour. C’è, qui, da imparare e da riflettere, non solo senza tediarsi, ma scoprendosi non di rado con il sorriso sulle labbra. Buon modo, insomma, per esorcizzare le sempre rinnovantesi tentazioni di utopie sociali (quas Deus a nobis avertat!) che fermentano in quelle inesauribili fucine di miti che sono il cuore e la testa dell’uomo. E che sono da tenere a bada più che mai dopo la fine della christianitas, se è giustificato – come la storia dimostra - l’ammonimento di Karl Barth: “Quando il cielo si vuota di Dio, la terra si riempie di idoli”. “Idoli”, cioè “mostri”, partoriti dal ventreoscuro di una ragione che, da dono prezioso del Creatore, è statatrasformata in una Ragione, con la maiuscola, che ha preteso di prendere il posto stesso di Dio, gettandone tra le “superstizioni” la Rivelazione. Con quei risultati sui quali ci ammonisce, implacabile, la storia degli ultimi due secoli; ma anche, purtroppo, la cronaca dei nostri giorni. Cammilleri ci propone un viaggio curioso tra incubi dal volto spesso tentatore di sirene; “viaggio”, questo, che può essere anche un buon vaccino

Varrà la pena di approfittarne per non confondere la Speranza, quella vera e che non delude (così, almeno, crede il cristiano) con le “speranze di carta” di utopisti, riformatori, rivoluzionari, spesso le prime vittime di quanto nato dai loro progetti di “rendere felice l’umanità“. Che lo voglia o no; con lebuone o con le cattive.