Il 31 maggio 2014 il sergente americano Bergdahl è stato liberato dai talebani afghani dietro rilascio di cinque terroristi, definiti pericolosi e irriducibili, da Guantanamo. Mai gli Usa avevano voluto trattare col terrorismo islamico, ma Obama, si sa, è diverso. I commilitoni di Bergdahl ricordano che almeno sei uomini sono morti dal 2009 per cercarlo e lo accusano pure di diserzione. Suo padre, provvisto di barbone all’islamica, nel giardino della Casa Bianca ha salutato il ritorno del figlio declamando la «bismillah» («In nome di Allah clemente e misericordioso»). Fausto Biloslavo, sul «Giornale» del 7 giugno, ricorda che il New York Times ha reso noto un rapporto riservato del Pentagono in cui si ammette che Bergdahl si era allontanato dal suo avamposto di sua volontà aggirando il reticolato e non era nemmeno nuovo a simili comportamenti. Dice Biloslavo: «Se non si tratta di un disertore è come minimo un cretino finito in bocca al lupo talebano». Dissentiamo su un punto: non crediamo sia un disertore.