Comunque vada il referendum bolognese sui contributi comunali alle scuole paritarie, è bene ricordarsi di quanto ha scritto Alessandra Nucci su Zenit.org del 25 maggio 2013 e che «è una partita che si gioca all’interno della sinistra, dove il Comune e il Pd, appoggiati da Epifani e dalla Camusso, stanno da una parte a difendere il sistema voluto dal Comune stesso negli anni Novanta, sindaco Walter Vitali; dall’altra stanno Sel (6,1% alle politiche), Rivoluzione civile di Ingroia (2,6%), i Grillini (19,1%), la Fiom e stakeholders che vanno dall’Unione Atei e Agnostici all’Arcigay, il tutto tenuto insieme nel comitato promotore presieduto da Stefano Rodotà, quello che i grillini volevano eleggere Presidente di tutti gli italiani (…). La posta in gioco consiste nell’effetto-imitazione che i referendari sperano di suscitare nelle altre città, a partire da quelle della stessa Emilia rossa. Ciò risulta evidente quando si contano le voci dei big che si sono paracadutati in città preoccupatissimi della cultura qui impartita ai bimbi piccoli, e che solo il giovane assessore Matteo Lepore ha avuto il coraggio di definire marziani: nomi come Riccardo Scamarcio, Valeria Golino, Gino Strada, Andrea Camilleri, Angelo Guglielmi, Sabina Guzzanti, Carlo Freccero, Moni Ovadia, Corrado Augias, Neri Marcorè, Michele Serra, Philippe Daverio, Amanda Sandrelli e Margherita Hack, a cui si aggiungono un paio di nomi bolognesi: Andrea Mingardi e Francesco Guccini». Alcuni di costoro sono spesso invitati nei festival biblici e altrove da cattolici cretini, aggiungo io. L’ultima stravaganza (ma non troppo) è che «i rappresentanti di lista potranno essere solo quelli della Lista A, i referendari, Sel, Ingroia, M5S, Arcigay ecc. La Lista B non potrà avere suoi rappresentanti a sovraintendere allo spoglio. Anzi. Salvo il momento del voto, si devono tenere ad almeno 300 metri di distanza».